Navigare in solitario – parte seconda

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Navigatori Solitari

Molti amano navigare in solitario altri vi sono costretti per necessità, alcuni al contrario cercano proprio la sfida attraversando gli oceani con i mezzi più disparati e senza l’aiuto di equipaggi.

C’è chi ha attraversato l’Atlantico su di un catamarano a vela di sei metri, chi a remi sopra una barca particolare remando per oltre sei mesi e chi ancora su piccole barche dalle fogge più disparate.

Oltre a questi personaggi, più o meno professionisti, che cercano l’impresa tout court, la maggior parte dei navigatori solitari opta per questo tipo di approccio alla navigazione a vela, per una scelta esclusivamente personale che nulla a che vedere con lo spirito competitivo o la ricerca di una continua sfida agli elementi della natura od a se stessi.

Alcuni decidono di partire perché hanno bisogno di navigare, di vedere, conoscere e scoprire luoghi ignoti alla grande massa, altri perché giunti ad un punto della loro vita sentono il bisogno di provare esperienze nuove e visto che hanno tempo e magari un piccolo budget a disposizione, acquistano una barca anche piccola e la preparano per una navigazione d’altura in solitario.

Bernard, un amico francese di Concarneau, mi spiegava come aveva messo a punto il suo piccolo Arpége – uno sloop di poco più di 8 metri – per fare la traversata atlantica in solitario e poi restare qualche anno a gironzolare nelle isole delle Antille.

Innanzitutto aveva installato a poppa un solido roll bar sul quale aveva posto un grande pannello solare ed un generatore eolico, per poter alimentare tutta la strumentazione di bordo senza dover utilizzare il motore, così da risparmiare sui costi di gestione della barca.

Poi aveva predisposto la barca con un timone a vento del tipo a bilancino cosi da poter navigare senza problemi con qualsiasi tipo di vento e non dover essere costretti a stare alla barra per lunghi periodi. Visto che la piccola cabina di prua non serviva aveva trasformato la zona in cambusa e deposito di acqua dolce, così da bilanciare il maggior peso a poppa causato dal roll bar e dal timone a vento.

Le altre trasformazioni effettuate riguardavano: l’armo, l’elettronica di bordo e l’impianto Whf e SSB. L’armo era stato dotato di uno strallo volante dove poter issare un solent, inoltre tutte le manovre correnti erano state segnate e misurate in modo da facilitare al massimo le manovre.

Tutte le lampadine comprese le luci di via erano state sostituite da Led, così da risparmiare energia, mentre era stato aggiunto un accumulatore per potenziare la capacità di carica del generatore eolico e del pannello solare.

Per le comunicazioni aveva integrato il normale WHF da un sistema SSB così da poter ricevere anche i bollettini meteofax. Aveva rinunciato al telefono satellitare troppo costoso, mentre aveva comprato un sistema di soccorso Epirb. Oltre alla normale zattera di salvataggio aveva legato a poppa un barile di plastica stagno, nel quale aveva riposto altre attrezzature di sopravvivenza e soccorso.

Insomma aveva trasformato il suo Arpége in una vera casa galleggiante con la quale, per oltre tre anni, fece: due attraversate oceaniche, tutti i Carabi, sino alla Florida, il giro del Mediterraneo, la circumnavigazione della Gran Bretagna sino all’Islanda e qualche puntata in Norvegia e Svezia, il tutto ovviamente sempre in solitario, a parte qualche breve tratta in compagnia di alcune amiche e pochi “veri” amici.

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