Refitting, il rilancio della nautica passa da qui

di Redazione 2

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Dopo un anno passato in piena crisi, nel quale le vittime sono state numerose anche nei cantieri di prestigio, la nautica da diporto cerca di rilanciarsi attraverso quello che un tempo era il core buisiness: il refitting.

In questo contesto così difficile si impone un ripensamento generale del comparto ed il sostegno a nuove linee di sviluppo innovative e diverse rispetto a quelle seguite negli ultimi due lustri.

In sostanza, in un periodo di scarsa disponibilità finanziaria, molti neo armatori preferiscono optare per l’acquisto di una barca da diporto usata  alla quale magari apportare modifiche sia di carattere strutturale che estetiche, anziché sottoscrivere una commessa per uno scafo nuovo.

Questa tipologia d’acquisto, in linea di massima, consente un buon risparmio ed al con tempo permette un notevole livello di personalizzazione pari a quella che si otterrebbe con una barca mai varata.

Il Refitting per i cantieri implica invece un ripensamento generale delle modalità di lavorazione, con l’introduzione di nuove professionalità sia di tipo artigianale che a livello tecnologico, così da consentire di poter recuperare veri e propri gioielli della tradizione nautica italiana.

In questo modo sembra proprio che le linee di sviluppo e comparto nautico possono godere di nuova linfa e vitalità, così come sembra anche confermato dal rinnovato interesse che i grossi gruppi finanziari per le operazioni di leasing nautico erogate proprio per il refitting di barche storiche.

Personalmente considero il refitting un vero e proprio patrimonio della cantieristica da diporto italiana sia per tramandare l’arte dei maestri d’ascia che da secoli hanno prodotto capolavori ineguagliabili, sia per rivitalizzare un patrimonio di “gusci” per troppo tempo trascurate.

Inoltre il refitting può rilanciare un mercato ecosostenibile che altrimenti vedrebbe notevoli problemi per lo smaltimento degli scafi in vetroresina,costruiti all’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso. Considerando che attualmente non vi sono processi di recupero per i polimeri utilizzati in ambito nautico il refitting in termini economici apporta notevoli risparmi  benefici.

Commenti (2)

  1. Quando si dice che non esistono processi che consentono la dismissione di scafi in vetroresine, da unità da diporto a fine ciclo di vita, si dice una cosa inesatta, infatti il progetto VAL.VET del consorzio RE.S.NA.V. propone una soluzione attraverso la termo valorizzazione della vetroresina con produzione di energia elettrica e combustibili.
    Vero è che forse in Italia non è così facile demolire imbarcazioni per una carenza legislativa allora l’affondamento e l’abbandono restano le soluzioni più facili da seguire.
    Concordo comunque che il refitting è un processo non solo conservativo ma anche virtuoso per certe imbarcazioni soprattutto quelle definite “d’epoca”

  2. Ciao Giuliano e benvenuto nel nostro blog.

    Hai ragione infatti conosco il progetto VAL.VET, per la termovalorizzazione derivante dagli scarti degli scafi in Vetroresina. In realtà io parlavo di processi di recupero dei polimeri che sono parte del porcesso di catalizzazione della vetroresina e non di solo smaltimento mediante termovalorizzazione, cosa fattibile è già realizata anche in altri stati. Concordo pienamente sul fatto che manchi una normativa di riferimento sul recupero e smatimento degli scafi in vetroresina, che troppo spesso, in modo semplicistico e direi sconsiderato, venono affondati, abbandonati o peggio bruciati all’aperto senza nessun controllo. Cmq ti prometto che ritornerò sul tema dello smatimento degli scafi in FGR.

    Marco

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