Skipper, non basta la “patente”

di Redazione Commenta

Nelle letteratura marinaresca è piena zeppa di storie di comandanti di navi che per scarsa attitudine al comando sono stati rimossi dal loro ruolo o peggio hanno subito un vero e proprio ammutinamento.

L’esempio tipico è quello di William Bligh che pur essendo un ottimo marinaio fu un pessimo comandante e subì l’ammutinamento di quasi tutti i suoi ufficiali e di parte della ciurma. Al contrario ci sono stati comandanti o navigatori, come Nelson o Colombo, che pur non essendo dei grandi uomini di mare, il primo addirittura soffriva spesso di chinetosi, sapevano comunque sfruttare il loro carisma per motivare l’equipaggio e condurlo sempre con grande sicurezza verso mete lontane o battaglie importanti.

Comunemente nella nautica da diporto moderna la parola comandante viene utilizzata solo per equipaggi professionali imbarcati su grandi unità, mentre per le piccole barche, condotte magari dagli stessi armatori o da persone preposte, si utilizza il termine di Skipper.

Semantica a parte la vera questione è che la condotta di una unità da diporto viene spesso paragonata alla condotta di un qualsiasi veicolo quasi a significare la scarsa importanza riservata alle modeste dimensioni della maggior parte delle imbarcazioni. Inoltre il fatto che l’abilitazione al comando viene chiamata comunemente “patente nautica” avvicina ancor più il concetto di trovarsi su di una barca col le “ruote”.

Nella realtà la condotta o il comando di una imbarcazione implica maggiori oneri e capacità di saper gestire e capire le altre persone a bordo. Dato che lo skipper può anche delegare la condotta effettiva delle barca, facendo prendere il timone anche ad un non abilitato, ciò pone delle questioni sia di carattere giuridico che psicologico.

Per sua natura il ruolo dello skipper tende sempre ad essere visto come un qualcosa di estraneo rispetto all’equipaggio imbarcato, per questo motivo è sempre importante che tutto quello che accade in barca sia sempre condiviso tra tutti i membri anche se le competenze vengono possedute da uno solo.

Lo skipper dovrebbe sempre avere il tempo si spiegare perche decide di eseguire una certa manovra e come si devono comportare gli altri membri dell’equipaggio in quella stessa fase.

Molte volte questo non accade e lo skipper tende ad agire sempre da solo non facendosi mai aiutare. In questo modo l’armonia tra i membri imbarcati si rompe ed anche le minime incomprensioni possono sfociare in divergenza insanabili con conseguenze pessime se non addirittura irrimediabili.

La grande capacità di un buon skipper è quella di saper gestire ogni situazione con la giusta psicologia e di coinvolgere sempre tutti i membri a bordo, mostrando la piena disponibilità di spiegare ogni cosa che accade motivando ciò che sta a monte di ogni scelta, siano esse condivise o meno, dando così a tutti la possibilità di riflettere e comprendere le giuste motivazioni.

In sintesi lo skipper non è una sorta di “dittatore democratico“, ma un comandate sicuro e autorevole che però  condivide ogni sua scelta con gli altri sapendo ascoltarne anche i consigli.

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